I nodi dell'inquinamento legati all'uso improprio della plastica.
I Signori del Pianeta devono prendere provvedimenti urgenti.
La più profonda depressione oceanica del Pianeta è la fossa delle Marianne, che arriva a circa 11 mila metri sotto il livello del mare nell'oceano Pacifico, al largo delle coste del Giappone, Filippine e Nuova Guinea. Un'area oceanica balzata agli onori della cronaca in questi giorni per un ritrovamento "particolare". Non per la scoperta di una nuova specie di pesce o crostaceo, bensì per il rinvenimento della busta di plastica più "profonda" del Pianeta, a 10898 metri sotto il livello del mare. Un record difficile da battere.
La busta in questione è purtroppo in "buona compagnia" dato che, attraverso osservazioni disponibili in un database dell'Agenzia Giapponese delle Scienze Marine e terrestri, pare siano più di 3 mila i frammenti di plastica individuati nella fossa delle Marianne negli ultimi trent'anni.
Un terzo tra questi è rappresentato da pezzi di plastica ben visibili, e la quasi totalità (89%) deriva da prodotti in plastica usa e getta. Una scoperta sconcertante e allarmante: nemmeno le aree degli oceani più profonde e inaccessibili sono dunque immuni dall'inquinamento da plastica.
Inoltre, siamo di fronte a un insopportabile paradosso, visto che prodotti che utilizziamo solo per pochi secondi possono generare un inquinamento destinato ad affliggere per decenni o secoli i mari.
Purtroppo, questa contaminazione è destinata ad aumentare visto che la produzione di plastica a livello mondiale continuerà a crescere vertiginosamente nei prossimi anni
(secondo le previsioni la produzione sarà quadruplicata entro il 2050).
(secondo le previsioni la produzione sarà quadruplicata entro il 2050).
Già oggi, il sistema di riciclo e recupero di plastica a livello globale non regge: se dovessimo quadruplicare la produzione di plastica, finiremmo per affogarci dentro. Per salvare i mari del Pianeta servono misure drastiche e urgenti, partendo proprio dalla riduzione degli imballaggi monouso.